Lavoro intermittente
Le condizioni (oggettive e soggettive) devono ritenersi disgiunte e non necessariamente concorrenti.
10/14/20243 min leggere


La Corte di piazza Cavour, con sentenza n.22086/2023, ha stabilito che le condizioni di accesso per il lavoro cd. "intermittente" (in gergo job on call) siano da interpretare in senso disgiuntivo e non cumulativo.
Il D.Lgs. n.81/2015 (supportato anche dalla nota esplicativa del Ministero del Lavoro), indica condizioni oggettive e soggettive oltre al rispetto del limite delle 400 giornate nell'arco di tre anni solari.
Il lavoro intermittente ha avuto negli anni un iter più che travagliato: nasce nel 2003, sotto il governo Berlusconi, con l'obiettivo di "azzerare" il rischio di impresa per l'imprenditore, perché connesso con la necessità di dover mantenere in essere rapporti a tempo indeterminato anche in periodi di bassa congiuntura. Viene, tuttavia, abrogato nel 2007 (salvi i settori dello spettacolo e turismo).
Con il Jobs Act (tra cui D. Lgs. n.81/2015) l'istituto si rinnova pur conservando la sua originaria causa; in breve, il nuovo contratto intermittente è un contratto, a tempo determinato o indeterminato, mediante il quale "un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno. In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali".
Su tali premesse il ricorso al lavoro intermittente rimane consentito (requisito oggettivo) per sopperire particolari esigenze rilevate nel contratto collettivo applicato (purché sottoscritto da associazioni maggiormente rappresentative) o, in mancanza, per quelle indicate dal Ministero (qui la tabella delle prestazioni ammesse: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:regio.decreto:1923-12-06;2657!vig=).
Oltre al requisito oggettivo viene specificato che il contratto di lavoro intermittente possa essere concluso (requisito soggettivo):
con soggetti di età inferiore ai 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il 25° anno;
con soggetti di età superiore ai 55 anni.
Sulle premesse di cui sopra, prima della sentenza sopra accennata (Cass. Civ., Sez. Lav., 24 luglio 2023, n.22086), non era chiaro se dovessero sussistere simultaneamente i requisiti oggettivi e soggettivi in capo ad uno stesso prestatore di lavoro. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della società che era stata condannata dalla Corte di Appello di Milano, ha stabilito che la locuzione "in ogni caso" (prevista al comma 2 dell'art.15 D.Lgs. n.81/2015) non può che portare ad una interpretazione della norma in senso disgiuntivo.
Si è, dunque, stabilito che sia possibile stipulare contratti di lavoro intermittente indipendentemente dalle esigenze stabilite dal Ministero o dai Contratti Collettivi, purché - sia chiaro - il lavoratore abbia una età inferiore ai 24 anni o superiore ai 55.
In ogni caso, indipendentemente dai requisiti oggettivi e soggettivi, il contratto di lavoro intermittente è ammesso per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro per un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell'arco di 3 anni solari. In caso di superamento di tale periodo, il rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. In proposito, si segnala che nella Circolare MLPS n.35/2013 (https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Documents/2013/Circolare_29_agosto_2013_n35.pdf) vengono riportate le indicazioni operative riguardo al calcolo delle giornate. Tale limitazione trova deroga ai soli settori del turismo, pubblici esercizi e spettacolo.
Si sottolinea che, per quanto la forma scritta non sia richiesta ab substantiam, è necessario che il contratto sia scritto ed ivi siano indicate:
a) durata e ipotesi, oggettive o soggettive, che consentono la stipulazione del contratto di lavoro intermittente;
b) luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore, che non può essere inferiore a un giorno lavorativo;
c) trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e relativa indennità di disponibilità, ove prevista;
d) forme e modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione di lavoro nonché le modalità di rilevazione della stessa;
e) tempi e modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità;
f) misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.
Nel caso in cui il lavoratore si sia contrattualmente impegnato (dietro corresponsione di una indennità) a rendersi disponibile in relazione alla chiamata, il rifiuto ingiustificato di rispondervi può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo, nonché un congruo risarcimento del danno nella misura fissata dal contratto di lavoro (sotto forma di clausola penale).
Cass. Civ., Sez. Lav., 24 luglio 2023, n.22086 e www.lavoro.gov.it
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