Il dipendente in malattia può svolgere attività ludico-ricreative?

Per la Cassazione pare di sì, ma l'accertamento va valutato caso per caso

9/27/20242 min read

La lavoratrice (addetta alla mensa di ospedale, con inquadramento livello 6s CCNL Terziario/Commercio), veniva licenziata per giusta causa poiché a seguito dell'accertamento, svolto sulla base di relazione investigativa a seguito di pedinamento, dello svolgimento di attività ludiche (presso una sala di gioco) durante i giorni di malattia la società datrice riteneva tale condotta illegittima ed idonea ledere il vincolo fiduciario tra le parti.

La Corte d'Appello di Napoli ha accolto il reclamo della lavoratrice, dichiarando illegittimo il licenziamento comminato e ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al pagamento di un'indennità risarcitoria di dieci mensilità e ai contributi previdenziali dal giorno del licenziamento fino alla reintegrazione.

Il licenziamento si basava su accuse di attività ludica e spese durante l'assenza per malattia. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che tali comportamenti non dimostrassero una simulazione di malattia.

La Suprema Corte di Cassazione, a seguito di ricorso da parte della società, ne ha ritenuto inammissibili i motivi così confermando che non tutte le attività intraprese dal lavoratore si pongano in un ottica di assoluta incompatibilità con il riposo ed il recupero delle energie psicofisiche. In particolare vero è che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, possa configurare la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, tuttavia il datore di lavoro dovrà valutare se l'attività intrapresa dal dipendente - pur effettivamente malato - sia tale da causare un effettivo aggravamento della malattia così ritardando il futuro rientro al lavoro.

Tralasciando la grave ipotesi di simulazione, ovvero nei casi in cui l'attività intrapresa dal lavoratore durante la malattia sia, di per sé, sufficiente a far presumere l'inesistenza della stessa, non sempre appare facile stabilire se l'attività del dipendente sia incompatibile o meno con lo stato di malattia. Sugli specifici accertamenti medici, infatti, solo l'INPS può ordinare la cd. "visita fiscale" (negli orari di reperibilità) lasciando il datore di lavoro la possibilità di dimostrare l'incompatibilità tramite accertamenti (in primis fotografie, video ecc. svolti dalle agenzie investigative) secondari.

Il quinto motivo, riguardante la proporzionalità della sanzione, non è stato accolto, confermando che la mancanza di illiceità del fatto contestato giustifica la reintegrazione.

Il ricorso è stato quindi rigettato, con condanna alle spese legali a carico della società.

Cass. Civ., Sez. Lav., 05 settembre 2024, n.23858