Dimissioni per fatti concludenti

Novità del Collegato Lavoro 2024. Non sarà più necessario licenziare il dipendente assenteista?

LAVORO

12/17/20243 min leggere

Con l'art.19 del Collegato Lavoro 2024 il legislatore è intervenuto attorno al tema delle dimissioni cd. "per fatti concludenti", istituto eliminato nel 2015 dal "Jobs Act".

Seppur approvata dal Senato, in data 11 dicembre 2024, la legge entrerà in vigore solo a partire dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, nel rispetto dei termini ivi previsti. Tale novità ha inteso eliminare tutte quelle condotte "truffaldine" attuate dai lavoratori subordinati per l'ottenimento della c.d. Naspi (indennità di disoccupazione). La normativa attualmente vigente, infatti, prevede una modalità esclusiva (da effettuarsi on-line, tramite accesso SPID) per la formalizzazione delle dimissioni. In mancanza di adempimento da parte del lavoratore, quest’ultimo può semplicemente astenersi dal prestare la propria attività lavorativa, confidando nel licenziamento disciplinare per assenza ingiustificata (ex art. 2119 c.c. o art. 3 l. 604/1966). Tale situazione, a differenza delle dimissioni volontarie, consente al lavoratore di ottenere i benefici della Naspi, riconosciuti solo nei casi di perdita involontaria del posto di lavoro.

Questa modalità ha creato non poche difficoltà ai datori di lavoro, costretti non solo a sostenere il costo del ticket NASPI da versare all’INPS (pari, per il 2024, a un massimo di € 1.916,00), ma anche a fronteggiare eventuali impugnative del licenziamento e a dimostrarne la legittimità in sede giudiziale. Non solo! il lavoratore ha facoltà, entro il termine di 7 giorni, di "ripensare" alle sue dimissioni, così revocandole ed ottenendo la conservazione del posto di lavoro. Difficile non immaginare le difficoltà a cui ogni azienda potrebbe andare in contro: in primis il tempo "perso" per reclutare nuove risorse in sostituzione del dipendente dimissionario, poi revocante il recesso! Non solo! Durante tale periodo di 7 giorni, detto di “congelamento” del rapporto, l’azienda rimarrebbe esposta al rischio di richieste retributive arretrate o pretese contributive avanzate dall’INPS.

A fronte di questa lacuna normativa, neppure la giurisprudenza ha fornito soluzioni univoche. Ad eccezione di due pronunce del Tribunale di Udine, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in presenza di modalità di recesso definite per legge, non vi sia spazio per considerazioni basate su comportamenti di fatto del lavoratore, così escludendo le cd. dimissioni per fatti concludenti.

In questo perimetro si inserisce la nuova disposizione del Collegato Lavoro: in caso di assenza ingiustificata prolungata oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicabile (o, in assenza, oltre quindici giorni), il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore, senza applicazione della procedura telematica prevista. Si sottolinea, tuttavia, che i giorni di assenza ingiustificata previsti dalla novella debbano essere intesi quali "continuativi", seppur in difetto di una specifica previsione nel testo di legge: la norma, infatti, parla di "assenza ingiustificata" non, a contrario, di "assenze".

In tal caso il lavoratore perderà l'accesso all'indennità di disoccupazione, oltre all'indennità sostitutiva del preavviso (se dovuta). Dall'altra parte il datore di lavoro non sarà onerato al pagamento del ticket oltre a non dover rispettare - fatti salvi i casi in cui il lavoratore dimostri di non aver potuto comunicare tempestivamente i motivi di assenza - il termine di 7 giorni per la possibile revoca delle dimissioni.

Sebbene questa soluzione sembri ragionevole, presenta tuttavia alcuni limiti. In particolare, il concetto di “assenza ingiustificata” non è definito in modo univoco e dipende dalle norme contrattuali collettive, che prevedono obblighi di comunicazione e termini variabili. Inoltre, permane il rischio che il lavoratore decida di assentarsi, senza giustificato motivo, in periodi alternati, così costringendo il datore di lavoro al licenziamento.

Una soluzione alternativa più equilibrata potrebbe essere il ritorno a un sistema simile a quello introdotto dalla Legge Fornero (articolo 4, commi 17 e seguenti della l. n. 92/2012). Tale disciplina prevedeva che la risoluzione del rapporto fosse subordinata a una condotta inequivocabile del lavoratore, conforme ai principi civilistici dell’avveramento della condizione, eliminando automatismi e coinvolgendo un ente terzo (L'Ispettorato Territoriale del Lavoro).