Danni causati dal lavoratore
Il datore di lavoro può trattenere l'importo (pari al danno causato) in busta paga?
LAVORO
10/30/20242 min leggere


Può capitare che durante l'orario lavorativo il personale impiegato possa recare un danno all'azienda e/o ai clienti terzi. Nulla di grave, a tutti può capitare di sbagliare, tuttavia è certo che i soggetti danneggiati debbano esser tenuti indenni dalle conseguenze prodotte.
Sul piano contrattuale il lavoratore, assunto e qualificato per svolgere una determinata mansione, è tenuto ad adempiere alla prestazione con la diligenza e professionalità: per quanto la natura dell'obbligazione lavorativa risulti ancora oggi discussa (di fare o di mettere a disposizione le proprie energie lavorative) è certo che la controprestazione (alias la retribuzione) venga corrisposta in relazione alle effettive capacità tecniche di ogni lavoratore. In breve, il lavoratore viene pagato per ciò che è in grado di fare e non il contrario.
Fatta tale doverosa premessa ci si chiede se, in ipotesi di inadempimento dovuto a negligenza, imprudenza o imperizia, il lavoratore sia tenuto a risarcire il danno prodotto e, in caso affermativo, se il datore di lavoro possa trattenere direttamente il corrispettivo del danno in busta paga.
Ovviamente, qualora venga accertata la responsabilità esclusiva del lavoratore ovvero l'evento/danno non sia stato determinato da guasti di macchinari o da altre cause, il dipendente è tenuto (ex artt.1218, 1223 C.C.) a risarcire integralmente il danno prodotto nei confronti dell'azienda (sia in proprio che nei rapporti contrattuali con la clientela). Per fare ciò è consigliabile, tuttavia, contestare previamente (secondo l'art.7 L. n.300/1970 e regolamentazione da contratto collettivo) l'addebito disciplinare: decorso il termine minimo, se le giustificazioni addotte siano da reputarsi inidonee, il datore procederà con la comminazione di una sanzione (conservativa o espulsiva, a seconda della gravità).
Tuttavia, per quello che riguarda il risarcimento del danno ed il relativo trattenimento in busta paga, si sottolinea che, in assenza di un riconoscimento del danno e della espressa volontà a risarcirlo, sia inibito al datore il potere di "compensare" il debito - proveniente dal contratto di lavoro - con il credito derivante dal danno prodotto. Questo poiché, secondo la giurisprudenza, per procedere a compensazione è necessario che il credito vantato dal datore di lavoro sia certo, liquido ed esigibile: requisiti che, in assenza di espressa previsione normativa, solo l'autorità giudiziaria può dichiarare.
Il piano disciplinare (L. n. 300/1970) e quello relativo al danno prodotto (art.1218 C.C.) devono esser, infatti, tenuti distinti, essendo il primo volto unicamente a comminare sanzioni tipicamente soggettive (conservative e non). Resta fermo che, nell'ipotesi in cui il lavoratore (meglio se nella risposta alla contestazione dell'addebito) riconosca la propria responsabilità circa il danno prodotto ivi dichiarando di voler procedere al risarcimento, il datore di lavoro possa trattenere, senza agire in giudizio, il corrispettivo in busta paga.
A tal proposito, recente giurisprudenza di Legittimità ha confermato l'indirizzo secondo cui tali tipologie di compensazioni siano sottratte al limite di pignorabilità pari al quinto dello stipendio.
Restano ferme le più peculiari disposizioni previste da ogni CCNL nonché le particolari tipologie contrattuali (in primis l'apprendistato professionalizzante) in tema di danno prodotto dal lavoratore subordinato.
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